Oggi è Natale. E dall’isola greca di Lesbo mi è appena arrivata una mail. Me l’ha mandata Valentina Tamborra, che è una giovane e brava fotografa impegnata a raccontare quello che tanti si rifiutano di sentire e di vedere.
Ecco cosa mi scrive.
Carissima Monica
questa non è l’Europa.
O almeno, non l’Europa che (ri)conosco. Sono a Lesbo da due giorni, oggi è Natale e una parte di me vorrebbe fuggire.
Fa freddo, ci sono dai 3 ai 7 gradi e un vento teso.
Nelle tende si vive stipati: 7 persone dove ce ne starebbero 2 o 3. Non c’è acqua calda, non un solo bagno funzionante. Gli adulti sopportano il freddo e fanno la doccia con le bottiglie d’acqua che vengono loro date per bere o usano una canna in mezzo ai campi, da dove esce acqua ghiacciata.
Per i bambini è diverso: loro non possono tollerare certe temperature e così vivono nello sporco, in mezzo al fango. Sì, perché non tutte le tende sono sollevate dal terreno, e se lo sono è con mezzi di fortuna. In molti hanno i pidocchi o malattie della pelle.
E sono tanti, davvero tanti i bambini. Per ripararli dal fango e isolarli dal bagnato, i genitori infilano loro sacchetti di plastica fra scarpa e piede. Eppure sorridono, i bambini. Giocano con quello che trovano: una gabbietta per uccelli arrugginita, un sasso, qualche pezzo di legno. E io spero che siano in grado di dimenticare, di lasciarsi alle spalle questo incubo. Perché nello sguardo dei genitori ho visto ciò che in un uomo non si dovrebbe vedere: l’umiliazione.
Buon Natale Monica
da un’Europa abbandonata a se stessa.
***
La situazione sulle isole greche era già terribile, ma ora va oltre la disperazione. «A Lesbo intere famiglie, arrivate da Siria, Afghanistan e Iraq, sono stipate in piccole tende estive inadatte alle piogge e alle basse temperature. Nelle nostre cliniche di salute mentale arrivano ogni giorno pazienti che soffrono di stress psicologico acuto, molti hanno tentato il suicidio» spiega Aria Danika, coordinatrice dei progetti di Medici senza Frontiere a Lesbo.
Per via delle restrizioni imposte dall’accordo tra Unione Europea e Turchia, che di fatto blocca i migranti sulle isole greche, il campo di Moria a Lesbo è sovrappopolato.
A oggi ci sono più di 7.000 persone intrappolate in un’area progettata per ospitarne 2.300, con una media di 70 nuovi arrivi dalla Turchia al giorno, soprattutto donne e bambini. Nel campo le docce e i servizi igienici non bastano per tutti e l’acqua è scarsa.
A Samos 1.500 persone vivono in un campo che ne potrebbe ospitare al massimo 700, e centinaia di persone dormono in tende senza alcun tipo di riscaldamento.
Una situazione insostenibile che sta causando tensioni e disperazione tra migranti e rifugiati, mentre i residenti e le autorità locali protestano contro la trasformazione delle isole greche in vere e proprie prigioni.
Medici senza Frontiere ha allestito una clinica mobile, fuori dal campo di Moria, per i più deboli, bambini e donne incinte, e sta negoziando con le autorità greche per migliorare l’approvvigionamento dell’acqua e le strutture igienico-sanitarie a Lesbo e Samos.
Non è facile parlare di migranti in questi tempi. Valentina ha iniziato a farlo a Ventimiglia. Un’esperienza da cui è nato il progetto “La sottile linea rossa” (qui sotto alcuni scatti), che racconta le storie di chi ogni giorno cerca una vita migliore oltrepassando un confine che non è una linea immaginaria ma un filo spinato tra Francia e Italia.
Prima di partire per la Grecia, Valentina ha documentato la situazione dei migranti in Sicilia e a Como.
«Ho deciso di incontrarli e di parlare con loro, o meglio con alcuni di loro. Con tutti, sarebbe impossibile. Non solo per il numero, ma perché ogni giorno i volti sono diversi» mi ha detto. «Ho raccolto le loro storie, i loro volti. E ora ve li restituisco. Perché i migranti hanno un nome, un’età, una famiglia, delle speranze, una storia. Si chiamano Abu, Moukhetar, Lamin, Sultan, Abdù… Sono migranti, sì. Ma prima di tutto sono persone».
Eccoli, i volti che Valentina ci restituisce con il suo lavoro.
Oggi è Natale: proviamo a non chiudere gli occhi.
Articoli che ti potrebbero interessare
Per fortuna c’è chi cerca di documentare il “volto oscuro” della cosiddetta “civiltà”.