Nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007 otto operai della fabbrica siderurgica Thyssenkrupp di Torino vennero investiti da una fuoriuscita di olio bollente. Morirono in sette, nel giro di un mese, per le ustioni provocate dall’incendio: avevano tra i 26 e i 54 anni.
A quasi nove anni da allora, la Cassazione ha confermato la condanna della Corte d’Assise d’Appello per i sei imputati di quella tragedia sul lavoro ritenuti responsabili di omicidio colposo, omissioni di cautele antinfortunistiche e incendio colposo aggravato.
Nove anni e 8 mesi per l’ex amministratore delegato Harald Espenhahn; 7 anni e 6 mesi per Daniele Moroni, del comitato esecutivo dell’azienda; 7 anni e 2 mesi per Raffaele Salerno, ex direttore dello stabilimento; 6 anni e 8 mesi per Cosimo Cafueri, responsabile della sicurezza; 6 anni e 3 mesi per i manager Marco Pucci e Gerald Priegnitz.
Dopo la sentenza i quattro italiani si sono consegnati in carcere.
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Ho visto in tv Raffaele Guariniello che, da procuratore aggiunto, aveva guidato il pool che da subito aveva indagato sul rogo alla Thyssen.
L’ho sentito ricordare come quella volta – e per una volta – «non lavorammo sentendoci abbandonati alla nostra sorte». Come l’inchiesta venne chiusa in meno di tre mesi. Come Harald Espenhahn, amministratore delegato di Thyssenkrupp in Italia, venne accusato di omicidio volontario con dolo eventuale. Come quell’accusa, per la prima volta contestata in Europa, fosse stata rivolta all’amministratore delegato
«perché Espenhahn sapeva che le misure di sicurezza non erano state rispettate. La fabbrica di Torino stava chiudendo, non valeva più la pena spendere soldi per quello stabilimento».
Raffaele Guariniello è il procuratore che ha condotto tutte le indagini sull’Eternit di Casale, che è riuscito a ottenere che si processassero Jean Louis de Cartier e Stephan Schmidheiny, proprietari dell’azienda che lavorava l’amianto facendo ammalare e morire i casalesi, che ha assistito alla loro condanna nei primi due gradi di giudizio e che nulla ha potuto contro la Cassazione, che ha prescritto il reato.
Raffaele Guariniello è il procuratore che ha chiesto per Stephan Schmidheiny, il solo rimasto in vita, un altro processo. Il 31 maggio sarà la Corte costituzionale a decidere se Schmidheiny potrà essere giudicato nel procedimento Eternit Bis, nel quale la procura chiede che venga rinviato a giudizio, in Corte d’Assise, per l’omicidio volontario di oltre 250 persone, vittime del mesotelioma.
Quando in tv ho sentito Guariniello ricordare che «Espenhahn sapeva che alla Thyssen di Torino le misure di sicurezza non erano state rispettate» e che le morti degli operai erano morti annunciate, mi è sembrato di rivivere i giorni del processo Eternit, e delle accuse portate avanti dal Procuratore contro de Cartier e Schmidheiny, «assolutamente consapevoli del pericolo che la lavorazione dell’amianto comportava», di cui si erano infischiati in nome del guadagno.
Ma peggio è stato due giorni fa, quando il sostituto procuratore generale della Cassazione ha chiesto di annullare la sentenza di condanna nei confronti degli imputati della Thyssen: in quelle ore ho rivissuto lo stesso incubo vissuto per l’Eternit.
Invece non è stato così. Le famiglie dei sette operai della Thyssen hanno avuto giustizia, anche se le pene confermate per l’amministratore delegato e gli altri responsabili sono quelle del processo di appello, quasi dimezzate rispetto al primo grado per l’esclusione del dolo.
«Prendiamo atto con rispetto del dispositivo della sentenza» si legge in una nota della Thyssenkrupp. «Faremo il possibile affinché tale disgrazia non accada mai più».
Parole che avrei sperato di sentire anche per l’Eternit. Ma ho paura che non sarà mai così.
Nel 2015 gli infortuni mortali sul lavoro in Italia sono aumentati del 16 per cento rispetto all’anno precedente.
Raffaele Guariniello è in pensione dal dicembre 2015.
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