Oggi ho letto la lettera che un’insegnante precaria di 44 anni («faccio con passione la pendolare da 13, insegno Latino, Greco e materie letterarie nei licei classici della provincia di Napoli»), ha scritto a Repubblica per spiegare perché ha rifiutato l’assunzione. Anzi, “la deportazione” come l’hanno definita tanti come lei, riferendosi alla destinazione che può essere ovunque.
Deportazione è un termine certo molto forte, così chi l’ha usato si è tirato sulla testa una bella quantità di critiche. In effetti la prima reazione, quella che si ha senza molto pensare, è: «Ma come si fa a rifiutare un posto di lavoro?». E su questo si può essere più o meno d’accordo.
Però… Però bisogna leggerla, la lettera di questa insegnante precaria di 44 anni.
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