Ecco, se vi dovessi dire quale aria si respira in questi tempi, anche oggi che è la vigilia di Natale, ve lo racconterei non con uno dei grandi fatti accaduti nel 2019 su cui aprire una discussione intellettuale, ma con un piccolo episodio molto nazional-popolare.
Come si restituisce la dignità a una ragazzina di 14 anni coinvolta in un giro di prostituzione? Cosa bisogna fare perché acquisti consapevolezza e rispetto di sé?
Il tormento di una giudice, pubblico ministero in un processo a un professionista romano coinvolto in un caso di cronaca che all’epoca ha fatto molto rumore, sfocia in una sentenza sorprendente e unica. Che Cinzia Spanò racconta in “Tutto quello che volevo. Storia di una sentenza” in questi giorni al teatro Elfo Puccini di Milano.
Non è un gran momento questo. Abbiamo di fronte qualcosa che sta crescendo vorticosamente. Non so come chiamarlo: razzismo, oppure odio, o cattiveria, o schifo per l’altro. Capire perché accada è difficile, trovare una strada per superare tutto questo lo è ancora di più, sbattuti come siamo da un vento fortissimo che fa star male. Davvero.
Qui nel quartiere lo chiamavamo Andrea, ma non sappiamo se fosse il suo nome vero. Probabilmente no. Da un anno, o anche di più, aveva “messo su” casa sotto il portone dell’ex cinema Maestoso di piazza Lodi a Milano.
Una bella tettoia ripara due metri quadrati di marciapiede, e lui aveva sistemato lì tutte le sue cose.
Sono andata a fare una passeggiata a Milano. Che non è cosa scontata, anche se in questa città ci vivo. Milano è una città che corre. Corrono tutti, corro anch’io: bus-metro-tram-auto… per arrivare in fretta, per arrivare subito.