Da che è iniziata l’offensiva di terra di Israele nella Striscia di Gaza, non faccio che leggere cronache, analisi e reportage. Vedere telegiornali. Guardare gallery fotografiche, crudeli più di tante parole, che mostrano corpi di bambini uccisi dalle bombe e case distrutte e gente disperata.
Sono atterrata a Donetsk nel marzo di tre anni fa, con un volo Lufthansa da Monaco di Baviera. Pensavo di viaggiare insieme a russi e tedeschi. Invece sentivo parlare italiano. Poi ho capito che due terzi dei passeggeri erano badanti a servizio da anni in famiglie del nord Italia. Tornavano a casa per brevi vacanze, chi per le nozze di un figlio, chi per il parto di una figlia. In quelle poche ore di aereo avevamo fatto quasi amicizia e mi aveva colpito il senso di gratitudine e di affetto vero che provavano per il nostro Paese.
Oddio, quante ne ho raccolte di storie come quelle che leggo sui giornali in questi giorni. Storie di povera gente soccorsa nel mare della Sicilia, che raccontano di botte e stupri, di miseria e di paura.
Ho passato notti sul molo a Lampedusa, insieme a Medici senza Frontiere. E a più di due anni da allora mi fa ancora star male ricordare uomini, donne e bambini, le facce incrostate di sale, gli occhi spalancati su una costa che neanche sapevano quale fosse. «Italia?» chiedevano. «Sì, Italia» rispondevano dalla banchina.