Oggi è il sabato prima di Natale e mi è toccato in sorte dover andare a fare la spesa al supermercato che ho di fronte a casa.
Succede raramente (per fortuna) che io debba fare provviste alimentari.
La spesa è un compito del Miche che è bravissimo a individuare le offerte speciali, a usare il salvatempo abbinato alla scheda punti, a trovare la birra analcolica sepolta sotto centinaia di birre alcoliche, a distinguere il prosciutto di Parma da quello di San Daniele e a non confondere le fettine di pollo con quelle di tacchino. Il Miche non sbaglia mai. E porta a casa un carrellone di generi di prima sopravvivenza impiegando non più di 35 minuti.
Io sono tutto il contrario.
Compro gli spaghetti del numero sbagliato così non possiamo usarli insieme a quelli della scatola già aperta, scelgo i tovaglioli di carta a due veli invece che a quattro (pare che rientri tra i peccati mortali ma, credetemi, sembrano proprio identici), riempio il carrello di barattolini Sammontana alla stracciatella, al bacio perugina e al cioccolato fondente, e vago alla ricerca delle mele golden, che sono quelle gialle e dolci che non fanno male al mio povero stomaco distrutto dallo stress.
Torno a casa dopo ore, carica di cose inutili e accolta dallo sguardo feroce e di compatimento di un consorte che mi conosce dalla notte dei tempi e ancora non si è rassegnato alla mia inettitudine casalinga.
Perciò sono quasi sempre esentata da questo compito drammatico.
Ma oggi il Miche lavora. E lavora fino a sera, fino alle 8 che è troppo tardi per chiedergli, con un sorrisone, “tornando ti fermeresti un minuto all’Esselunga?”.
Così, dopo aver a lungo ponderato, davanti a un frigo vuotissimo, su quale fosse l’orario migliore per cacciarmi in un supermercato una manciata di giorni prima di Natale, ho deciso una strategia infernale. Mi sono alzata alle 7 anche se è sabato e mi sono fiondata a far la spesa alle 8, quando pensavo non fosse ancora arrivato nessuno.
Ma il sabato di Natale è il sabato di Natale.
Alle 8 e 5 minuti un’orda di milanesi evidentemente affamati da mesi aveva già preso d’assalto il supermercato.
Ho visto padri, madri, figli e nonni agguerritissimi (uso aggettivi gentili perché è Natale) intenti a “spazzolare” gli scaffali come in previsione di un attacco nucleare.
Una situazione apocalittica che ho vissuto a New York anni fa, quando ci fu un allarme uragano che rese deserta Manhattan. Allarmati dalle notizie di Weather Channer e dalle disposizioni della polizia americana, io e il miche andammo a comprarci due bottiglie d’acqua e un pacco di cracker immaginando di dover scendere negli scantinati dell’hotel e là restare per giorni. Acchiappammo le ultime due bottiglie su scaffali ormai vuoti (una scena da film dell’orrore), e facemmo una fila lunga due ore e un quarto per pagare (scemi completi, ma era il primo uragano che incrociavano nella nostra esistenza).
Oggi ho visto clienti brandire panettoni Bauli e rincorrere commesse gridando “Ma io non voglio questo, voglio il Maina”.
Ho visto commessi travolgere con carrelloni carichi di mandarini e noci signore che si gettavano sulle confezioni non ancora riposte negli scaffali “perché la frutta appena uscita dal magazzino è buona il 25”.
Ho visto simpatiche vecchiette “fregare” dai carrelli di altri buste di salmone e di panna da montare (allibita ne ho guardata una e lei “così faccio prima” ha commentato con uno sguardo furbo).
Ho incrociato carrelli che nessun umano immagina. Pieni pieni pieni che a chi li spingeva cadevano le cose per terra: soprattutto ravioli in quantità da soddisfare l’appetito robusto dei marines di decine di eserciti, patatine di ogni genere, polli pronti da cuocere, o forse erano tacchini, e spumanti di quelli dolci (dolore!), e panettoni ripieni di ananas e cioccolato bianco e marmellata di arance.
E quando alla cassa, dove sono approdata alle 10 dopo aver trovato meno della metà delle cose che mi servivano, è finalmente arrivato il mio turno, non ce l’ho fatta a non rispondere alla tipa che mi stava dietro e che si lamentava: “Quest’anno non ci sono code, quest’anno c’è solo la crisi”. Non mi sono trattenuta: “Signora, ma che sta a dì?” le ho detto, e addio, mi sono sorbita una filippica su quanto fossero belli qualche anno fa i supermercati la vigilia di Natale, quando si entrava e non si sapeva se si sarebbe usciti in tempo per la messa di mezzanotte.
Ho pagato, ho detto buongiorno alla commessa che non mi ha rivolto la parola, neppure un ringhio che pure sarebbe stato un segno di attenzione anche se ostile. E sono scappata a casa, abbracciata a una busta natalizia di salmone che mi sono mangiata per pranzo, tanto per tirarmi su.
No, non sono una vecchia insensibile come il signor Scrooge di “Un Canto di Natale” di Charles Dickens. Magari domani ci ritorno pure, al supermercato, perché ho giusto dimenticato un paio di cose… Ma mi conforta pensare che presto sarà il 26 dicembre.
Arriva sempre il 26 dicembre, credetemi.
Intanto, buon Natale.
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