In questo mondo iperconnesso siamo spettatori di tutto quello che accade in qualunque parte del pianeta. Così succede di dover chiudere gli occhi davanti ai video postati dall’Is che ci fanno testimoni di scene atroci come le decapitazioni, i prigionieri chiusi in gabbia e dati alle fiamme, gli uomini costretti a scavarsi la fossa, i corpi delle donne e dei bambini ammazzati, i ragazzini che giustiziano “il nemico” , quelli costretti a giocare sotto terra per ripararsi dai bombardamenti.
Mi sono chiesta spesso se sarebbe opportuna una qualche forma di censura per le immagini di tanta violenza, che è anche orribile propaganda per chi ne è responsabile.
Mi sono detta anche che se non si vede non si sa, e che la storia – che è giusto conoscere per poter cercare di cambiarla – è anche questa.
Oggi sono uscite altre foto che in qualche modo hanno a che fare con l’Is. Ma sono foto gioiose, scattate e poi diffuse in Rete da un coraggioso giornalista freelance che si chiama Jack Shahine. Un giornalista di quelli veri, che sta lavorando nella regione del Rojava, nord est della Siria, il Kurdistan siriano.
Proprio nel Rojava Jack Shahine ha fermato il momento in cui alcune donne fuggite dalle zone della Siria cadute sotto i jihadisti dello Stato islamico, si sfilano il burqa, il velo nero integrale imposto dall’Is, e mostrano i loro volti e i loro vestiti colorati.
Sono libere. Finalmente libere.
Che vita avranno queste donne non so lo. Ma la loro gioia fa intuire la sofferenza delle tante che cercano di sopravvivere nei territori dominati dall’Is, là dove le regole dispongono che le bambine siano pronte al matrimonio a 9 anni, smettano di studiare a 15 e passino la vita in casa.
Umiliate. Maltrattate. Schiave.
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