Paola Filippini (nella foto) ha 28 anni, vive a Mestre, fa la fotografa e probabilmente è molto brava (non la conosco ma da quello che leggo è tosta, e questo è garanzia di qualità).
Oggi – è inutile contarsela – con certe professioni proprio non vivi. Così Paola, per arrotondare, ha risposto a un annuncio di ricerca di una hostess per check-in per alloggi turistici. Al colloquio ci è arrivata ma è stata sbattuta fuori – letteralmente – perché si è rifiutata di rispondere alle classiche domande sulla vita privata: «Sei sposata? Convivi? Hai figli?». Non che siano interrogativi strani: avere famiglia generalmente non permette di lavorare 20 ore su 24 (o 24 su 24, che oggi va tanto di moda).
Quello che distingue Paola da altre migliaia di persone che si sono trovate in condizioni analoghe è innanzitutto il coraggio che ha avuto a dire no. E poi la decisione di postare sui social la sua “disavventura”, che è subito diventata virale.
Bene. Ovunque io clicchi oggi, ritrovo la storia di Paola. Accompagnata da commenti entusiasti sul suo comportamento e sul suo coraggio.
Bene. Io però mi pongo una domanda: tutta questa corte di gente tanto favorevole al “coraggio di dire no” cosa fa nella sua vita di ogni giorno?
Me lo chiedo perché è da troppo tempo che io vedo con i miei occhi – nel mondo del lavoro – persone disposte a tutto.
Disposte a dire sempre sì in nome di uno straccio di lavoro malpagato (o non pagato, perché oggi si lavora anche in cambio della sola “visibilità”). E fin qui, con una certa fatica, riesco a capire: quando non hai nulla sei disposto a tutto.
Ma quello che non capisco (proprio non ce la faccio) è vedere persone che un posto di lavoro ce l’hanno e che, forse per paura di perderlo, forse in nome della carriera e dell’ambizione, si fanno veri ostaggi disposti ad accettare qualsiasi angheria e dequalificazione e sopruso (nei confronti loro e dei loro colleghi). Accettano la cancellazione di qualsiasi diritto: un colpo di spugna e voilà, o è così o è così lo stesso. E quindi: sì, sì, sì.
Invece è in casi come questi che bisognerebbe avere il coraggio di dire no.
Non basta condividere la storia di Paola, che è una storia di grandissimo coraggio. Il coraggio serve a poco se non è collettivo.Il coraggio è dire che non credi a quelli che ti intortano snocciolando dati sull’occupazione che non vogliono dire niente. Il coraggio è quello che ti fa mettere a rischio le tue ambizioni in nome della tutela di tutti, e non importa se non farai carriera. Il coraggio è diventare “parte” di questo dire no. E’ faticoso, è difficile, è doloroso? Sì.
Ma dicendo no avrai fatto un passo avanti nella tua dignità, nel rispetto dell’altro, nei diritti di tutti. Che davvero non è poco.
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