Sono sul tram 16, e a una fermata dopo quella di casa mia sale arrancando una signora parecchio anziana. Gli scalini dei tram milanesi sono alti, così le allungo una mano e lei, che è molto ben messa, con un cappellino con un fiocco e un cappottino cammello, mi ringrazia e (ovviamente) attacca bottone.
In questi giorni di cronache, testimonianze, analisi, accuse, attacchi, “guerra” su tutte le prime pagine dei giornali (e tanta retorica), in questi giorni che seguono l’attacco a Parigi da parte dei terroristi dell’Isis, io ho imparato una cosa.
Oggi in tutte le librerie italiane esce per Einaudi Chirù, il nuovo romanzo di Michela Murgia. I protagonisti sono un giovane violinista (Chirù) e un’attrice (Eleonora) che diventa per lui una “madre spirituale”.
Un’uscita importante, a sei anni da Accabadora che ha fatto vincere alla scrittrice il premio Campiello.
Paola Filippini (nella foto) ha 28 anni, vive a Mestre, fa la fotografa e probabilmente è molto brava (non la conosco ma da quello che leggo è tosta, e questo è garanzia di qualità).
A volte basta una foto. Come questa, pubblicata da Amnesty international (Belgio): ricorda che dopo l’insurrezione dell’Ungheria contro i sovietici iniziata il 23 ottobre 1956 e repressa dalle truppe sovietiche, più di 200.000 ungheresi fuggirono dal loro Paese. Quello stesso Paese che oggi chiude le sue frontiere a chi fugge dalla Siria, dall’Iraq e da altre guerre.