«Era l’8 marzo. Siamo partiti da Roma per Milano su un treno vuoto. La sera abbiamo avuto un incontro in Regione Lombardia. Il 9 eravamo a Lodi dove abbiamo trovato un ospedale che stava resistendo allo tzunami dell’emergenza Covid.
Seguo ogni giorno il collegamento con Giulio Gallera, assessore regionale al welfare della Lombardia.
Alle cinque e mezzo del pomeriggio sono davanti al computer e mi segno i numeri del Covid19, contagi, ricoveri, guarigioni, morti di ogni provincia della Lombardia.
Questa storia inizia venerdì 13 marzo alle 17,51. È proprio a quell’ora, a quel minuto 51, che Antonella Mariotti, 59 anni, giornalista del quotidiano La Stampa, scopre di avere la febbre alta. Antonella lavora nella redazione di Alessandria. Quattro giorni prima era andata negli uffici amministrativi dell’ospedale di Tortona per un’intervista: «Alla fine la persona con cui avevo parlato mi aveva teso la mano e io non avevo osato non stringergliela». Chissà se è da quella stretta di mano che ha preso avvio tutto. Dove tutto è il contagio da Coronavirus da cui Antonella sta poco per volta uscendo in questi giorni.
Era tutto pronto. Lo stand prenotato al Salone del libro di Torino, il lancio del nuovo sito, migliaia di copie degli otto titoli in catalogo stampate e ristampate e inscatolate e parcheggiate in salotto.
Andava tutto bene. Pococondriaco aveva venduto 9.000 copie, non uno scherzo nel panorama editoriale di questi tempi.
Vivere un’epidemia. Il contagio, l’emergenza sanitaria, l’isolamento, le “curve” di infettati, di morti, di guariti.
E’ la situazione nella quale ci dibattiamo oggi, smarriti davanti a questo “qualcosa” che non abbiamo mai conosciuto ma che sta travolgendo il mondo occidentale moderno.
Vivere un’epidemia. Stefano Zannini sa cosa vuol dire.