Il primo giorno del salone internazionale del libro di Torino, al Lingotto si respira una bella aria. Giro tra la folla (folla vera, anche se è giovedì), mi metto in fila per le presentazioni e nei commenti delle persone sento l’orgoglio molto sabaudo di chi ha saputo reagire al torto subìto (ah Milano!) restando in silenzio, ma lavorando duro per dimostrare che Davide con la sua fionda può vincere ancora una volta contro Golia.
Proprio sul filo della frontiera il commissario ci fa fermare
su quella barca troppo piena non ci potrà più rimandare
su quella barca troppo piena non ci possiamo ritornare.
Pane e coraggio ci vogliono ancora per riparare questi figli dalle ondate del buio mare e le figlie dagli sguardi
che dovranno sopportare e le figlie dagli oltraggi
che dovranno sopportare.
Prima di leggere anche solo poche righe di questo pezzo vi chiedo di guardare il video qui sotto: è la testimonianza di una famiglia irachena, padre, madre e due gemellini, fuggiti, spiega il papà, per offrire ai bambini «una vita in un Paese senza guerra, senza sangue». La famiglia è ora bloccata, come tantissime altre persone, a Lesbo, in Grecia, Europa.
L’altra sera, al Teatro Parenti di Milano, Gioele Dix ha letto “Bartleby lo scrivano” di Herman Melville. I GioveDix sono appuntamenti che mi piacciono tanto e Gioele Dix è sempre molto bravo a raccontare di scrittori e a leggere le loro storie.
Quando il New York Times pubblicò in prima pagina la foto che oggi ha vinto il World Press Photo of the Year 2017, pubblicò anche un’intervista a Phil Corbett, il responsabile per gli standard etici del giornale, per spiegare ai lettori quella decisione. La foto andava fatta vedere perché “più potente della storia stessa”.