Sono piccolina, bruna, ho le occhiaie e un’età molto autorevole (sigh!), e anche una propensione ad allargarmi che mi fa sentire in colpa tutte le volte che mi attacco al cucchiaione di Nutella. In più sono vice di un direttore che ha 18 anni meno di me. E non sono per niente entusiasta del governo Renzi, ministre comprese.
C’è un aspetto del mio lavoro che ho sempre considerato un privilegio: la possibilità di “essere” là dove le cose accadono. Che si tratti di un festival del cinema o di una guerra, dell’incontro con un premio Nobel o con un grande scrittore, i giornalisti vivono “in diretta” e vedono con i propri occhi eventi straordinari. E parlano con persone speciali che non avrebbero mai conosciuto se non avessero scelto questa professione.
Alla fine la prendiamo in ridere. Con un gran rincorrersi di telefonate. «Da me piove», «Da me grandina», «Da me ci sono 10 gradi, l’anno scorso erano 32». Saluti dalle vacanze, tra amici, e si finisce sempre a parlare del tempo.
Da che è iniziata l’offensiva di terra di Israele nella Striscia di Gaza, non faccio che leggere cronache, analisi e reportage. Vedere telegiornali. Guardare gallery fotografiche, crudeli più di tante parole, che mostrano corpi di bambini uccisi dalle bombe e case distrutte e gente disperata.