Nella storia di Andreas Guenter Lubitz, il pilota tedesco che sul volo Germanwings, decollato da Barcellona e diretto a Dussendolf, ha chiuso fuori dalla cabina il suo comandante e ha tirato giù l’aereo, facendolo schiantare contro una montagna e uccidendo se stesso e altre 149 persone, mi ha colpito (soprattutto) una cosa.
È un bambino e non ha più di 10 anni. Vestito con una divisa mimetica, è in piedi accanto a un adulto, un militante dell’Isis, lo Stato Islamico. Davanti a lui, in ginocchio nella solita tuta arancione che i jihadisti fanno indossare ai prigionieri, c’è Mohammad Ismail, una manciata di anni più di lui, accusato di essere una spia del Mossad.
Il bambino gli punta la pistola alla testa. Lo guarda negli occhi. E gli spara in fronte. Poi lo finisce con il colpo di grazia. E alza l’arma verso il cielo ed esulta, come uno jihadista vero.
Cosa ne pensi tu? Ce lo chiediamo tra noi da ieri, da quando le prime immagini dell’attacco alla redazione di Charlie Hebdo ci hanno inchiodato davanti agli schermi dei computer e della televisione. Che cosa ne pensi tu? E ognuno cerca una risposta che abbia un senso, che dia un significato a una strage che ne è priva.
«Ue’ marxisti, quest’anno il White Christmas party non è al circolino, sbrigatevi…». Chi diavolo sono quei quattro sfigatoni vestiti con sciarpona rossa, camicia a quadretti, giacche che ricordano un po’ l’eskimo di altri tempi, piantati davanti a una sezione chiusa del Pd, serranda abbassata in uno stabile popolare, con scritte di writer sui muri?
Io non so se Veronica Panarello, mamma di Loris, il bambino ucciso a Santa Croce Camerina, in provincia di Ragusa, sia davvero colpevole. È una storia, quella che la vede protagonista, che si complica ogni giorno di più, mentre assume i tratti di un brutto romanzo giallo.
Mi fanno paura i processi sommari e ancor più quelli che “si celebrano” sui giornali. E io di Veronica so solo quello che leggo e vedo in tv: non è detto che sia la verità.