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Lost (e non found)

Non è neppure per le cose perse, anche se ci ero affezionata. La giacca che potevo rivoltare, e da rosa diventava beige, così che la potevo usare anche la sera, se andavo a un concerto. I pantaloni neri, anni 10, vecchissimi e po’ lisi d’accordo, ma comodi e giusti, e la maglia di lana color tortora, che mi ha accompagnato per il mondo, così come quella di cotone gialla a righe colorate… Sono cose, le mie cose, ma pazienza.

Quello che mi ha fatto rovesciare lo stomaco non è stato dire addio al bagaglio, che tanto di prezioso io non possiedo niente, ma vedere come si lavora a Linate, dove io atterro da una vita, sempre però con una borsa a mano, piccola, e via a casa. Questa volta sono stata una settimana in vacanza al nord, dove fa freddo, e non ce la facevo a partire con la giacca a vento addosso, così ho imbarcato il bagaglio, che a Helsinki è arrivato senza problemi. Scesa dall’aereo, dopo 10 minuti me ne andavo con la mia valigia.

Al rientro a Linate, sette giorni dopo, ho trovato l’inferno. Non c’era tabellone che collegasse il numero del nastro al volo e centinaia di persone andavano su e giù alla ricerca di quello giusto. Sullo stesso nastro scaricavano bagagli di quattro aerei diversi. E quando ho visto la coda al lost and found (30 persone e un addetto, per di più molto tranquillo, 20 minuti ogni pratica, e ogni tanto qualche sbadiglio) ho davvero avuto un presentimento. Che si è avverato.

Alla fine ti fanno compilare un modulo, alle tue domande rispondono con un sospiro (giuro, un sospiro); la valigia è affidata al fato (“se non l’hanno rubata, prima o poi la ritroverà”); mentre ti parlano rispondono al cellulare; ti danno un link a cui collegarti che – una volta a casa – ti dice che il server non è in funzione; aggiungono che sì, lo sanno che a Francoforte non le hanno caricate tutte le valigie (e se chiedi perché ti rispondono che da quell’importante hub – il più importante d’Europa sottolineano con orgoglio teutonico – passano molti passeggeri, ed è ovvio che ci sia un po’ di casino… Ma va!); non hai numeri di telefono (solo uno, che non risponde mai ovviamente, e poi – quando finalmente risponde – ti dice che la tua valigia risulta essere su un volo airfrance diretta a copenhagen – “ma forse, perché proprio assicurarglielo non posso”), mentre in mano hai invece un foglietto che ti chiede, – trascorsi 5 giorni dalla “sparizione”- di inviare l’elenco delle cose che ti hanno perso, VIA FAX E IN TEDESCO.

E allora, detto addio a ogni speranza (tranne quella che la mia giacca rosa e beige, finita da qualche parte, sia almeno su un fiordo bellissimo), sono veramente indecisa: se cominciare una battaglia contro questi (piccoli) soprusi, che dimostrano bene come oggi vanno le cose (e vedremo il famoso Expo quale inferno si rivelerà) oppure prendere carta e penna, cercare un fax e scrivere IN TEDESCO alcune considerazioni, usando termini non proprio da signora. Così, per togliermi la soddisfazione. Tanto, credetemi, metto la mano sul fuoco, quel foglio non si degnerà di leggerlo nessuno mai.

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