«Lei non sa di cosa parla». Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz, senatrice a vita, ha risposto così, con una nota dolce e severa insieme, alla domanda su cosa pensasse ogni mattina al risveglio nel campo di concentramento, sapendo di dover affrontare un’altra terribile giornata.
«Lei non sa di cosa parla» ha detto a chi la intervistava e a tutti noi, più di 350 giornalisti venuti ad ascoltarla lunedì 28 ottobre all’Università Iulm di Milano. «Non era un risveglio, era una bastonata, non avevi il tempo di pensare, ti trovavi fuori nel gelo, all’appello, in piedi, e cercavi di stare nelle ultime file perché così eri vicino al tetto della baracca da dove pendevano stalattiti di ghiaccio. Era vietatissimo, ma si succhiavano per cercare di placare la fame».
Mercoledì 30 ottobre il Senato ha approvato l’istituzione di una commissione straordinaria per il contrasto ai fenomeni dell’intolleranza, del razzismo, dell’antisemitismo e dell’istigazione all’odio e alla violenza.
Una commissione fortemente voluta da questa donna di 89 anni, incredibilmente forte e lucida e coraggiosa, presa quotidianamente di mira sulla Rete dagli haters. Liliana Segre aveva da tempo sottolineato il riemergere di episodi di antisemitismo e di odio razziale e la diffusione nelle piattaforme social del cosiddetto hate speech (il linguaggio violento nei confronti delle minoranze).
Una commissione che ha un valore grandissimo, ma che non ha raccolto l’unanimità del Senato. Tutta la destra, infatti, (Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia) si è astenuta adducendo una serie di discutibili distinguo. Ed è rimasta seduta e in silenzio mentre l’aula applaudiva in piedi la senatrice.
La scelta dell’astensione da parte di alcuni partiti è incomprensibile e irresponsabile. Un modo più o meno esplicito per legittimare, o per restare indifferenti, davanti a un odio che purtroppo avanza e che deve riguardare ciascuno di noi a prescindere da ogni appartenenza partitica (Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane)
L’astensione della destra è stata commentata e condannata da molti, ma l’impressione (la paura?) è che sul tema ci sia troppa indifferenza. Ed è il pericolo più grande. Allo Iulm Liliana Segre è stata chiara: «Le leggi razziste che hanno espulso dalla vita civile tutti gli ebrei sono state applicate nell’indifferenza generale. L’indifferenza è la matrice della violenza e dell’odio, di quella del passato e di quella di oggi».
Campeggia la parola “Indifferenza” sul muro nell’atrio del Memoriale della Shoah a Milano (nella foto in alto). Da dove è partito il treno che ha portato Liliana Segre, il suo papà e tanti altri ad Auschwitz («odio-odio-odio-odio era il rumore che facevano le ruote di quel treno»).
«Io non perdono e non dimentico, ma non odio» (Liliana Segre)
Sulla strada che ad Auschwitz dal campo la portava a lavorare in una fabbrica di munizione Liliana Segre, e con lei altre 700 giovani donne «scheletrite, senza capelli, con le divise a righe, affamate», veniva presa a sputi e a ingiurie dai ragazzi della Hitler-Jugend, la gioventù hitleriana. «Io li odiavo. Li odiavo li odiavo li odiavo».
Una volta tornata a casa Liliana Segre ha taciuto per 45 anni «perché non riuscivo a trovare le parole per raccontare. Ma quando sono diventata nonna ho ripensato a quei ragazzi – li rivedo ancora adesso – e ho capito all’improvviso che non li odiavo più ma avevo per loro una pena enorme. Erano nazisti, figli di nazisti, nipoti di nazisti. Educati all’odio, al credo di gente che aveva assassinato milioni di persone. Molto più fortunata io a essere vittima, molto più fortunati i miei a essere morti bruciati nel crematoio rispetto a quei ragazzi che hanno portato dentro di loro per tutta la vita lo stesso credo. E che se anche hanno capito, sono stati comunque rovinati per sempre.
Non li odio più, anche se questo non significa che io abbia perdonato. Nelle scuole, dove ho cominciato a testimoniare trent’anni fa, parlo di libertà e di pace e mai di odio e di vendetta. Ma racconto una storia che è stata quella che è stata».
E’ pena anche quella che prova per gli odiatori di oggi, che protetti dall’anonimato della Rete la offendono con insulti e ingiurie. «Ho 89 anni e la vita mi è passata così in fretta… Sono così tante le cose che vorrei ancora fare… Ecco io invito tutti a non perdere neanche un minuto. Il tempo è prezioso. Non si torna indietro. Questi odiatori sprecano il loro tempo, io consiglio loro di non farlo».
Vent’anni fa insulti come quelli oggi rivolti alla senatrice Liliana Segre non avrebbero osato venire allo scoperto. La società avrebbe bollato con il marchio dell’infamia chiunque avesse osato inneggiare all’Olocausto e ai campi di sterminio. Oggi lo si fa con una virulenza che deriva dalla certezza dell’impunità e dalla consapevolezza che l’odio non solo è tollerato ma è addirittura aizzato e scatenato da leader politici che non esitano a scatenare la bestia pur di garantirsi consenso e assicurarsi la vittoria alle prossime elezioni. (Gianni Canova, rettore dello Iulm).
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Cliccando qui , trovate l’intervento che Liliana Segre ha tenuto al Parlamento Europeo in occasione del 75° anniversario della liberazione del campo di Auschwitz.
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