La Siria è un Paese in guerra.
Lo è dal marzo 2011, quando migliaia di persone cominciarono a protestare contro il regime del presidente Bashar al-Assad ad Aleppo e Damasco. Nonostante la repressione violentissima, le proteste si diffusero. A maggio Assad schierò l’esercito nelle strade. Poche settimane dopo, con la nascita dei primi gruppi ribelli, cominciò un conflitto civile che continua ancora oggi. E che in un Paese di 22 milioni abitanti, ha provocato finora 140 mila morti, 3 milioni di profughi che hanno trovato riparo soprattutto in Egitto, Iraq, Libano e Giordania, e almeno altri 5 milioni di profughi interni, cioè persone costrette ad abbandonare le loro case.
Nuha è fuggita dalla Siria in guerra insieme al marito.
Ha raggiunto l’Egitto e poi Il Cairo, ma l’uomo è stato ucciso mentre era al lavoro. «Io non voglio uscire di casa perché ho la tristezza nel cuore» racconta. «Abbiamo lasciato la morte in Siria solo per scoprire che ci aspettava in Egitto».
Ora Nuha non ha più nessuno. Ed è l’emblema di un’emergenza grave che si sta vivendo in un angolo di mondo segnato da sempre da grandi tensioni internazionali, dove sono ormai più di 145 mila le famiglie che hanno la loro unica guida in donne che sono rimaste sole. Mogli di uomini uccisi o catturati o comunque allontanati dalle famiglie, costrette a farsi carico della lotta quotidiana per la sopravvivenza e di figli che affrontano il trauma di vite spezzate: centinaia di migliaia di bambini siriani non vanno più a scuola, molti lavorano già a 7 anni.
Alla forza di queste madri e mogli e vedove, alla loro fatica e sofferenza ma anche al loro coraggio, è dedicato il rapporto dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) intitolato “Donne sole – la lotta per la sopravvivenza delle rifugiate siriane” (“Woman Alone – the Fight for Survival by Syrian Refugee Women”). Un rapporto che è un’emozionante raccolta di 135 testimonianze da parte di chi, ogni giorno, lontana dalla sua terra e dalla sua gente, cerca di pagare un affitto e dare da mangiare alla famiglia. Solo una su 5 riesce a trovare lavoro. Tutte le altre devono affidarsi agli aiuti umanitari.
A rendere complicata la sopravvivenza non sono solo la fame e la povertà. Molte siriane profughe raccontano di molestie verbali da parte di tassisti, autisti di autobus, affittacamere, così come dai commercianti nei negozi, nei mercati, sui mezzi pubblici e anche nei luoghi in cui si distribuiscono gli aiuti. «In Egitto siamo prede per tutti gli uomini» dice Diala, che oggi vive ad Alessandria. E Zahwa, che è in Giordania: «Vivevo una vita dignitosa, ma ora nessuno mi rispetta perché non sono accompagnata da un marito».
L’Alto Commissario António Guterres rilancia: «Per centinaia di migliaia di donne la fuga dalla Siria in rovina è stato solo il primo passo di un cammino di difficoltà senza fine. Non hanno più soldi, affrontano quotidianamente minacce alla loro sicurezza e vengono trattate come reiette anche se non hanno commesso altro crimine che perdere i loro uomini in una guerra feroce. È vergognoso. Vengono umiliate per il fatto di non avere più nulla». Neppure le fedi nuziali, che moltissime sono state costrette a vendere.
Da qui l’appello affinché non scenda il silenzio su questa tragedia, di cui anche i giornali si stanno occupando sempre meno. E la richiesta di aiuti a governi e a donatori (per sapere come, cliccate qui).
Perché è nelle mani delle donne la salvezza della Siria.
È nella loro tenacia, nella volontà di resistere, nella capacità e nella caparbietà di continuare a progettare un futuro che le riveda un giorno di nuovo a casa, nel loro Paese. Come ha detto l’attrice Angelina Jolie, da tempo testimonial dell’Unhcr: «Sono il collante che tiene insieme una società spezzata. La loro forza è straordinaria. Ma stanno lottando da sole. Le loro voci non possono essere ignorate».
Articoli che ti potrebbero interessare