Mentre i siti di informazione rimandano le notizie degli attacchi ai resort di Sousse, in Tunisia, uno dei luoghi turistici più suggestivi e frequentati di un Paese che un tempo era il porto tranquillo di tanti turisti italiani…
Mentre leggo dell’attentato nel sud est della Francia, dove un uomo a bordo di un’auto ha fatto irruzione in un impianto di gas industriale a Saint-Quentin-Fallavier, 30 km da Lione, e ha colpito bombole di gas provocando un’esplosione, e una testa decapitata è stata trovata infilzata sulla recinzione del cortile dello stabilimento coperta di scritte in arabo insieme alla bandiera nera dell’Is…
Mentre dal Kuwait arrivano le prime immagini della strage all’interno di una moschea sciita della capitale, dove un uomo è entrato durante la preghiera del venerdì con addosso una cintura esplosiva e si è fatto saltare in aria al grido di “Allah è grande”, e l’Is ha rivendicato l’attentato…
Mentre assisto a tutto questo, mi vengono in mente le parole che ho ascoltato in un corso sull’Is a Torino: il giornalista Michele Molinari aveva detto, a noi sbigottiti studenti, che l’errore più grande era quello di pensare di “essere fuori, lontani” dal pericolo di attacchi, di pensare di “non far parte” degli obiettivi di un terrorismo ormai globale come lo è quello dello Stato islamico. Lontani non solo geograficamente ma anche nella percezione di quanto invece ci sta accadendo intorno.
«Se vorrà salvarsi, l’Europa dovrà adottare misure di sicurezza straordinarie, che limiteranno pesantemente la libertà di ciascuno di noi» diceva Molinari. Lui parlava e io pensavo che no, si stava sbagliando, non era così che avremmo dovuto vivere, non era così che avremmo voluto vivere…
Oggi cambio idea, e mentre me ne rendo conto, sul Corriere.it ritrovo lo stesso pensiero espresso da Pierluigi Battista. «Quella testa decapitata a Lione è il messaggio: stiamo arrivando, la nostra guerra vi sta raggiungendo, non dimenticatevi di noi».
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