Stasera, a Che tempo che fa, il dottor Pietro Bartòlo ha raccontato la storia di Gifty, giunta dalla Nigeria nella pancia della sua mamma, e aiutata a venire al mondo a Lampedusa da questo medico coraggioso.
Io mi ricordo di Gifty e delle mamme lampedusane accorse quella notte a darle il benvenuto al mondo. La sua nascita è nel libro che ho scritto con Medici senza Frontiere. Vi riporto qui il passaggio che la riguarda…
… Gifty, piccola nigeriana, ha visto la luce a Lampedusa, ed è stato un evento straordinario: sull’isola non esiste neppure una sala operatoria, per partorire si va a Palermo.
La mamma di Gifty, Viviane Akhimien, era arrivata su un barcone con altri 760 tra nigeriani, pakistani, bengalesi. Il più grande sbarco mai avvenuto sull’isola. Era partita col pancione. Dopo neppure ventiquattr’ore di viaggio, le si erano rotte le acque ed erano iniziati i dolori e le contrazioni. Terrorizzata, la ragazza aveva affrontato in mare due giorni di travaglio. «Piangevo e piangevo e pensavo a mio marito rimasto in Libia. A ogni botta dell’imbarcazione mi sentivo spezzare la schiena. Più passava il tempo e la bambina non usciva, più mi convincevo che non ce l’avrebbe fatta a sopravvivere» ha raccontato ai soccorritori di Lampedusa.
Poi lo sbarco, l’intervento dei medici, finalmente il parto. E la gioia della mamma: «Appena l’ho vista, non ci credevo, una cosina così piccola mi aveva fatto soffrire per tutte queste ore in modo così atroce? Quasi ridevo! Ma mi sono accorta che la bambina non piangeva».
Anche Maria Grazia (una mamma di Lampedusa, ndr) ricorda quegli istanti eterni. «Ero dietro la porta dell’ambulatorio, ho sentito il medico dire: “È nata”. E silenzio. Un silenzio eterno.»
Gifty, da tempo in sofferenza con il cordone ombelicale attorcigliato al collo, viene rianimata. «Quando ha iniziato a piangere, abbiamo pianto tutti» dice Maria Grazia.
Le mamme di Lampedusa hanno ribattezzato Gifty “Angela”…
(tratto da L’altra faccia della Terra, Mondadori strade blu)
* La foto in alto ritrae uno dei tanti bambini sbarcati a Lampedusa
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Cara Monica, per me quello dei migranti che continuano a morire in mare è un dolore grande, da cui a volte vengo sopraffatta.
È bello raccontare storie come questa. Danno speranza. Ma l’Europa ha il dovere di rendere ordinaria la salvezza di queste persone.
Sì. Il dovere.