Nella storia di Andreas Guenter Lubitz, il pilota tedesco che sul volo Germanwings, decollato da Barcellona e diretto a Dussendolf, ha chiuso fuori dalla cabina il suo comandante e ha tirato giù l’aereo, facendolo schiantare contro una montagna e uccidendo se stesso e altre 149 persone, mi ha colpito (soprattutto) una cosa.
La reazione di “quasi sollievo” – diciamo così – che ho sentito espressa da molti quando è uscita la notizia che l’incidente era stato provocato da un malato di mente. «È colpa di un pazzo, quindi non è terrorismo»: anche oggi me l’hanno ripetuto almeno dieci persone. E tutte hanno concluso la frase con un accenno di sospiro, come a dire: «Quello che è accaduto è orribile. Ma poteva essere peggio».
Abbiamo la paura dentro di noi.
Ed è una prima sconfitta nella guerra che il mondo sta combattendo contro il terrorismo.
Ho avuto lo stesso pensiero qualche giorno fa a Torino, dove sono andata a seguire un corso sull’Isis, per capire meglio cosa sia lo Stato islamico e da dove nasca una violenza tanto feroce da essere paragonabile solo a quella dei nazisti.
L’edificio dove si svolgeva la lezione era piantonato da tre camionette della polizia, e i poliziotti erano in assetto da sommossa con lo scudo e il manganello.
Noi, che eravamo in fila per entrare, li abbiamo guardati curiosi. Non sapevano spiegarci la ragione di quello spiegamento di forze. Poi qualcuno ha detto: «Qui si parla di terrorismo, possiamo essere un obiettivo sensibile», che secondo me non aveva un gran senso. Ma subito tutti hanno annuito, e la curiosità si è trasformata in ansia.
La paura dentro.
L’ho sentita in aula, quando Maurizio Molinari, corrispondente della Stampa da Gerusalemme e autore de Il califfato del terrore (Rizzoli), che vi consiglio di leggere se volete mettere ordine nella confusione di notizie che riguardano l’Isis, ha detto che anche l’Europa dovrà decidersi ad adottare misure di sicurezza molto severe, che limiteranno decisamente la libertà di ciascuno di noi, se vorrà proteggersi da attentati che altrimenti saranno inevitabili.
La paura dentro.
Ecco la ragione di quei sospiri di sollievo davanti alla storia di un ragazzo di 27 anni in condizioni psichiche fortemente alterate ma in servizio come copilota su un Airbus 320 del gruppo tedesco Lufthansa. Un ragazzo che ha deciso di chiudere la sua partita con una strage. Che di per sé è una storia atroce, e angosciosa, e con il sollievo non avrebbe nulla a che fare. Se non fosse tanto forte la nostra inquietudine nel vivere in un mondo sotto attacco.
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