Casale, 25 anni dopo

Come la vedi la città dove sei nata, tu che te ne sei andata a vivere da un’altra parte? Me lo chiedono spesso, quando passo da Casale Monferrato, dove ho vissuto 29 anni prima di trasferirmi a Milano.

È una domanda che mi lascia sempre un po’ così, perché io sono una che pensa che

là dove nasci, quella sarà per sempre la tua casa,

e non importa se te ne andrai a migliaia di chilometri di distanza (che per altro non è il mio caso, abitando io a un’ora e mezza di autostrada, cantieri permettendo).

casale monferrato

Me lo hanno chiesto anche l’altra sera, in un incontro sul cicloturismo dove mi hanno invitato a fare da coordinatrice (audaci i casalesi, non vado in bici dal 1989).

Io, lo confesso, una risposta non ce l’ho. Per me Casale è Casale e chissenefrega se da un quarto di secolo abito altrove.

E allora ho scelto di elencare le cose che mi mancano, quando sono lontana.

Le colline, il vino buono, il piacere di una passeggiata in campagna, il rumore dei miei passi quando cammino in centro in quelle ore in cui non passa nessuno, i ristoranti dove un pranzo dura 4 ore. E la bellezza del teatro e del duomo e della sinagoga, la suggestione delle vigne in tempo di vendemmia, i giri in bicicletta… Un elenco lunghissimo, chissà quanto si sono annoiati ad ascoltarlo. Però è così.

Del resto pare che io parli molto di Casale.

Pare perché non me ne rendo conto, ma le persone che mi stanno accanto dicono che uso abitualmente espressioni come “A Casale facciamo così” o “A Casale succede che…” o “Noi di Casale”.

Sono così “casalese” che a volte, per scherzare, mi paragonano a un krumiro, riferendosi ovviamente non a una persona che non sciopera, ma al biscotto tipico della città, buono ma con un tostissimo peso specifico.

castello_casale_monferrato

Forse la risposta sta proprio qui:  io guardo Casale sentendo forte dentro di me il senso di appartenenza. Un senso di appartenenza che ho respirato anche durante l’incontro sul cicloturismo (organizzato dall’associazione Paolo Ferraris).

Sul tema io non sapevo niente, e non è bello ammetterlo… Eppure, nei tanti interventi che ho ascoltato (e tutti incredibilmente centrati, cosa affatto scontata nei dibattiti di questo genere) ho colto la determinazione di una comunità (la mia comunità) a lavorare per dare nuove opportunità a una città che non vuole piegarsi alla crisi e a un passato con un nome, Eternit, che fa ancora tanta paura.

Quella determinazione mi è piaciuta, così come mi piace la gente di Casale, che ha saputo affrontare la tragedia dell’amianto con coraggio.

Gente che non intende dimenticare, ma che ora vuole guardare avanti.

Con idee, iniziative, progetti, confronti e magari anche scontri. Che in fondo servono pure quelli quando l’obiettivo è comune: fare di Casale un posto accogliente, dove tutto sia possibile (forse è un sogno troppo grande, ma mi piace pensarla così).

 

 

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