Dalle otto di martedì 22 marzo, Bruxelles, capitale del Belgio, è sotto l’attacco dei terroristi.
Due esplosioni nell’area partenze dell’aeroporto Zaventem, precedute da raffiche di mitra e urla in arabo, e bombe anche nella metropolitana tra le fermate di Maelbeek e di Schuman, in pieno centro e nei pressi della sede della Commissione europea, hanno fatto decine di vittime.
È la risposta dell’Isis all’arresto di Salah Abdeslam?
L’attentato colpisce una città sotto assedio da tempo: sono passati pochi giorni dall’arresto, venerdì scorso, di Salah Abdeslam, l’ultimo membro del commando dell’Isis responsabile degli attacchi del 13 novembre a Parigi che avevano causato 130 morti. E la prima ipotesi è che le bombe siano proprio la risposta dell’Isis alla cattura del terrorista.
«A logica verrebbe da dire di sì» risponde Stefano Torelli, ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale di Milano. «La coincidenza è davvero forte. Però, se guardiamo al tipo di attentato, alla sua potenza, è altamente improbabile che in quattro giorni sia stato possibile mettere in piedi tanto. Direi che l’attacco di Bruxelles era qualcosa già in preparazione. E che probabilmente ha subito un’accelerazione per consentire ai terroristi di rispondere all’operazione di polizia che ha portato alla cattura di Salah».
Salah Abdeslam ha annunciato di voler collaborare. Pensa che possa rivelare qualcosa di importante?
«Anche in questo caso direi di andarci piano. Fino a poco tempo fa era considerato la mente degli attentati di Parigi, ora però sembra aver fatto parte della manovalanza. Questo non esclude che abbia informazioni preziose, ma più a livello operativo che strategico».
Oggi l’Europa è ancora di più sotto attacco dell’Isis? Gli attacchi di oggi a Bruxelles fanno pensare a una grande potenza dell’Isis, che invece sta vivendo un momento di crisi.
«È vero, ultimamente lo Stato islamico ha perso un terzo dei territori che controllava in Siria e Iraq. Ed è plausibile l’ipotesi che, trovandosi in difficoltà, voglia spostare l’attenzione e colpire l’Europa».
Bruxelles è paralizzata, i collegamenti aerei e ferroviari sono interrotti. In tutta Europa l’allarme è elevatissimo. Cresce la paura. E la sensazione di trovarsi a vivere in stato di guerra. C’è chi sostiene che stiamo combattendo la terza guerra mondiale. Come già aveva detto Papa Francesco nell’agosto del 2014, seguito pochi giorni dopo dal nostro capo dello Stato Sergio Mattarella.
«Il riferimento del Papa alla terza guerra mondiale era sicuramente molto più ampio. Certo, da tempo siamo convinti di vivere un momento molto delicato. Quello che è successo a Bruxelles potrebbe succedere in qualsiasi città europea. Ci sono ovunque cellule dormienti pronte ad attivarsi. Dovremo abituarci al rischio, anche in Italia. Non credo che quello di oggi sia l’ultimo capitolo. Ma rispondere solo con la forza militare non serve. È proprio la reazione che il terrorismo si aspetta, insieme all’ulteriore indebolimento dell’Europa che già vive le sue divisioni su molti fronti, a partire da quella dei migranti, e i cui 28 Paesi tendono a reagire ognuno a modo proprio . L’uso della forza, con misure da guerra, non farebbe che rendere la situazione ancora più tesa e darebbe ai terroristi terreno fertile nel convincere la loro gente a essere oggetto di persecuzione. Così aumenterebbe la radicalizzazione».
C’è una soluzione?
«Occorre un intervento unico e non frammentato dell’Unione Europea che affronti le cause e non soltanto gli effetti del terrorismo. Che prenda in mano le realtà sociali, politiche ed economiche locali. I tempi sono lunghi. Ma solo così ce la possiamo fare».
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