Luciano Fontana, direttore del Corriere della Sera, apre così il suo commento sull’attacco terroristico a Bruxelles che oggi ha provocato decine di morti. E che l’Isis ha già rivendicato: «Colpiremo di nuovo in Europa».
«C’è una guerra nel cuore dell’Europa».
Ne ho sentito parlare solo quattro giorni fa, a un corso organizzato dall’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale di Milano su “Al Qaeda, l’Isis e le nuove forme di Jihadismo”. Stavo seguendo la lezione dedicata all’uso dei media che i terroristi islamici fanno con abilità molto raffinata quando sono uscite queste tre parole: terza guerra mondiale.
«Si chiama guerra ibrida e ne stiamo vivendo da anni uno dei momenti più intensi» ha spiegato Marco Lombardi, docente all’università Cattolica di Milano.
“Mondiale” perché nessuno, europeo, asiatico, africano, americano, può dirsi risparmiato.
«È una guerra molto diversa da quelle del passato. Coinvolge eserciti regolari e irregolari, terroristi, ma anche criminalità organizzata. È una guerra senza regole, dove è quasi impossibile dichiarare un inizio e una fine, riconoscere i vinti e i vincitori. Sì, è una guerra differente, ma guerra mondiale resta: combattuta con attacchi terroristici che uccidono vite e destabilizzano i sopravvissuti».
I sopravvissuti, che poi saremmo tutti noi che dobbiamo abituarci a vivere in un contesto di rischio che mai avremmo immaginato solo una manciata di anni fa.
«C’è una guerra nel cuore dell’Europa» ricorda in queste ore il direttore del Corriere della Sera.
Ma già lo scorso anno, il 18 agosto 2014, Papa Francesco lo aveva denunciato senza mezzi termini: «Siamo entrati nella Terza guerra mondiale, solo che si combatte a pezzetti, a capitoli».
Il giorno dopo gli aveva fatto eco il capo dello Stato Sergio Mattarella: «Il terrorismo alimentato anche da fanatiche distorsioni della fede in Dio sta cercando di introdurre nel Mediterraneo, in Medio Oriente, in Africa i germi di una terza guerra mondiale».
Raggiungo al telefono Marina Santarelli, italiana da 20 anni a Bruxelles dove lavora al Parlamento europeo. È chiusa in ufficio e non sa ancora quando potrà uscire e quando tornerà a casa. «Non so se è guerra» mi dice. «Certo so che dobbiamo prepararci a vivere in uno stato di perenne tensione».
Questa mattina Marina stava entrando nel palazzo del Parlamento quando ha sentito il rumore delle esplosioni nella metropolitana che dista pochi metri. «Avevo lasciato da un quarto d’ora mio figlio a scuola, i telefoni hanno smesso di funzionare, ho fatto fatica a contattare mia mamma e mio marito. Quando finalmente ci sono riuscita, sono scoppiata in lacrime. È da mesi che viviamo con l’incubo del terrorismo, è da mesi che temevamo qualcosa, ma non immaginavamo che sarebbe accaduto così, che avrebbe avuto queste dimensioni.
Io ho paura e non credo a chi dice che non ce l’ha.
È una guerra questa? Non so. So che dovremo avere molto coraggio per andare avanti, nelle settimane e nei mesi prossimi ancor più di oggi».
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