Sono piccolina, bruna, ho le occhiaie e un’età molto autorevole (sigh!), e anche una propensione ad allargarmi che mi fa sentire in colpa tutte le volte che mi attacco al cucchiaione di Nutella. In più sono vice di un direttore che ha 18 anni meno di me. E non sono per niente entusiasta del governo Renzi, ministre comprese.
Non è neppure per le cose perse, anche se ci ero affezionata. La giacca che potevo rivoltare, e da rosa diventava beige, così che la potevo usare anche la sera, se andavo a un concerto. I pantaloni neri, anni 10, vecchissimi e po’ lisi d’accordo, ma comodi e giusti, e la maglia di lana color tortora, che mi ha accompagnato per il mondo, così come quella di cotone gialla a righe colorate… Sono cose, le mie cose, ma pazienza.
Quando apro il computer al mattino (spesso appena sveglia) e NON leggo la notizia della cattura di Daniza sono contenta. «Dai che è un giorno guadagnato, dai che ce la fai» penso, e mi piacerebbe parlarle davvero e incoraggiarla a prendersi gioco degli uomini che stanno cercando di acciuffarla.
«Non ho la presunzione di pensare di aver salvato la vita a quella ragazzina, ma sono certo che l’incoraggiamento, la vicinanza e la mia testardaggine le siano state da spinta».
Parla dalla Guinea Massimo Galeotti, quarantenne con il volto da ragazzo, origini fiorentine ma da 11 anni in giro per il mondo con Medici senza Frontiere. Parla dalla Guinea “sotto assedio” per l’ebola. Parla da Guéckédou, sud-ovest del Paese, dove l’epidemia è iniziata, per poi diffondersi in Liberia, Sierra Leone e Nigeria.
C’è un aspetto del mio lavoro che ho sempre considerato un privilegio: la possibilità di “essere” là dove le cose accadono. Che si tratti di un festival del cinema o di una guerra, dell’incontro con un premio Nobel o con un grande scrittore, i giornalisti vivono “in diretta” e vedono con i propri occhi eventi straordinari. E parlano con persone speciali che non avrebbero mai conosciuto se non avessero scelto questa professione.