In questo tempo orrendo ho paura.
Ho paura del Covid, certo. Della malattia ma anche della situazione conseguente che mi ha fatto aprire gli occhi. Nella “grande Milano” dove vivo, nonostante l’aumento dei contagi, nonostante le sirene continue delle ambulanze (ne sta passando una anche ora, mentre scrivo), nonostante le terapie intensive sempre più piene, ci si trova in una situazione di incertezza assoluta. Non si sa cosa fare, non si sa a chi chiedere (aiuto), si assiste impotenti a certi deliri politici…
E poi non si riesce ad avere quello a cui si avrebbe diritto. La vaccinazione contro l’influenza, per esempio, che ho dovuto prenotare a pagamento collegandomi di notte al sito di un istituto privato per trovare uno “slot” disponibile (un po’ come con l’Esselunga per la spesa online durante il primo lockdown).
Vaccino che avrei dovuto avere gratuitamente perché ho 60 anni ma “ne ho chieste 400 dosi, me ne hanno mandate 20” mi ha spiegato, allargando le braccia, il mio medico di famiglia.
Grande Lombardia, eh…
Lo stesso per la vaccinazione contro il pneumococco, “tu che nella vita hai fatto tre polmoniti devi farla assolutamente” mi ha detto lo stesso medico. Peccato che non si trovi in farmacia, dove costerebbe 46 euro, ma solo in un istituto privato che la “vende” a 181 euro. L’ho prenotata: il primo posto disponibile è per il gennaio dell’anno prossimo.
In questo tempo orrendo ho paura.
Non c’è una classifica delle paure. O almeno non ho mai voluto farla. Se non che oggi un tweet (in alto sopra al titolo) del presidente della Liguria Giovanni Toti mi ha fatto capire quel è il pericolo più grande di fronte al quale paura è un termine debole.
Il tweet dice così: «Per quanto ci addolori ogni singola vittima del Covid19 dobbiamo tenere conto di questo dato: solo ieri tra i 25 decessi della Liguria, 22 erano pazienti molto anziani. Persone per lo più in pensione, non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese che vanno però tutelate».
Ecco cosa sta passando: l’idea che divide le persone tra indispensabili e inutili. E forse inutili non è la parola giusta, perché anche in questo caso ci vorrebbe un termine più forte, più crudo.
A me viene in mente “selezione”, perché nel periodo più buio della storia recente una selezione tra chi poteva “contribuire allo sforzo produttivo” e chi non era in grado è già stato fatta, con milioni di persone sterminate.
Ascoltate un qualsiasi notiziario. C’è sempre un giornalista che sottolinea come “si dovrà scegliere” tra chi curare e chi no. E mai nessuno che sottolinei l’orrore di questa scelta.
Oggi sono gli anziani. E domani? Sarà la volta dei disabili? Dei malati inguaribili?
E’ un pensiero che sta passando sottotraccia, e non solo da adesso. In questa società di merda in cui vali per quello che produci e non per quello che sai e che sei. E che non guarda più agli anziani come a un tesoro di esperienza e di memoria ma come a un fardello da scaricare. Da buttare. Perché “non indispensabile allo sforzo produttivo”.
Articoli che ti potrebbero interessare