Lorenzo Manavella è un bel ragazzo di 25 anni che, raccontano, “viveva per lo sport”. Lorenzo, giocatore di pallavolo e grande appassionato di beachvolley, nella notte tra il 15 e il 16 maggio a Santhià, in provincia di Vercelli, ha ucciso a pugni e coltellate i nonni Tullio e Pina e la zia Patrizia, per portarsi via 300 euro. Era sotto l’effetto della cocaina.
Gianluca Manavella è suo padre: ha 54 anni ed è allenatore professionista della squadra di pallavolo del Santhià Stamperia Alicese nella quale giocava suo figlio. La notte tra il 15 e il 16 maggio, nella villetta di famiglia non c’era. Si è salvato. Ma ha perso tutto: la madre, il padre, la sorella. E Lorenzo, che ora è in carcere incriminato per pluriomicidio e rapina. Eppure a quel figlio assassino Gianluca Manavella ha dedicato il suo primo pensiero: «Lorenzo porterà il peso di quello che ha fatto per tutta la vita ma io non lo abbandonerò. I figli non si ripudiano, non si abbandonano».
Oddio come si fa, mormora una mia collega che, come me in questo momento, sta leggendo le cronache di quella tragedia. Come può un ragazzo arrivare a questo? A colpire le persone che più lo amavano, i nonni, due anziani di 85 e 78 anni, e la zia? A uccidere per 300 euro? E a buttare le vite degli altri e la sua?
Io la ascolto e non rispondo. Del resto, che risposte puoi dare a domande come queste, mi dico. Però penso al padre: nella foto pubblicata su un quotidiano sembra un anziano. Guarda qui, faccio notare alla collega, ha la mia età e il dolore lo ha stravolto, invecchiato. Strano pensiero il mio, di fronte all’orrore della storia. Eppure quell’uomo disfatto e le sue prime parole mi colpiscono più di tutto. Come fa a perdonare, così, subito: è questo l’interrogativo che mi tormenta davvero.
Ricordo di aver avuto lo stesso pensiero anni fa, ai tempi del delitto di Novi Ligure. Era il 21 febbraio 2001 quando Erika De Nardo, con la complicità del fidanzatino Omar Favaro, uccise la madre Susy e il fratellino Gianluca in quello che è stato uno dei più tragici fatti di cronaca dato in pasto all’opinione pubblica. Come oggi a Santhià, 13 anni fa a Novi un papà, Francesco De Nardo, che aveva avuto la propria famiglia distrutta dalla ferocia della figlia, aveva scelto, subito, di rimanerle accanto, di non abbandonarla.
Scelte assolutamente non assurde, secondo il criminologo Francesco Bruno, che ha seguito tanti casi di cronaca come questi: «Il padre di Lorenzo, così come il padre di Erika, hanno fatto la scelta giusta. Decidere di restare accanto a questi figli, anche se assassini, è un modo per riparare una precedente assenza come genitori. Significa prendersi finalmente una responsabilità. Non c’è dubbio: qualcosa non ha funzionato nei rapporti familiari. È vero che quei ragazzi erano imbottiti di cocaina, ma la droga da sola non basta a renderti un assassino. Dietro gesti così crudeli ci sono gravi problemi psicologici non risolti e genitori che in qualche modo li hanno ignorati».
Gianluca Manavella come Francesco De Nardo: padri che perdonano e non abbandonano i loro figli assassini. Con una scelta che mi sembra insieme grande e impossibile, generosa ed egoista.
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