Il primo giorno del salone internazionale del libro di Torino, al Lingotto si respira una bella aria. Giro tra la folla (folla vera, anche se è giovedì), mi metto in fila per le presentazioni e nei commenti delle persone sento l’orgoglio molto sabaudo di chi ha saputo reagire al torto subìto (ah Milano!) restando in silenzio, ma lavorando duro per dimostrare che Davide con la sua fionda può vincere ancora una volta contro Golia.
Sono tutti di buon umore oggi al Lingotto e sono di buon umore anch’io, che al Salone sono arrivata a metà pomeriggio e devo scegliere cosa seguire. C’è la conferenza sui diritti violati e c’è il dibattito sul globalismo affettivo. C’è il libro che racconta gli anni di piombo e c’è l’incontro con Pietro Grasso.
Una giornalista seria si farebbe in quattro.
Ma io resto una. E non resisto alla tentazione: mi fiondo nella Sala Gialla dove il titolo dell’evento è “L’uomo e le catastrofi”, il libro di cui si parla è “Paure fuori luogo” (Einaudi) sottotitolo “Perché temiamo le catastrofi sbagliate”, l’autore è Mario Tozzi e la presentazione dell’evento sul programma è super: “Le catastrofi non sono tutte uguali, quasi nessuna di quelle della contemporaneità è naturale. Eppure, invece di mantenere comportamenti adatti a prevenirle, ne abbiamo ancora paura e ne sfuggiamo ragioni e spiegazioni”.
Fantastico. E’ il mio pane.
Tozzi è più simpatico di quanto credessi, anche se un po’ se la tira. E’ sul palco con Camila Raznovich (nella foto in alto), conduttrice del programma Kilimangiaro dove spesso Tozzi è ospite. I due si intendono.
Il mitico autore racconta come abbia raccolto materiale su alluvioni, asteroidi, terremoti, vulcani che eruttano ed epidemie.
La brava conduttrice cita i casi degli squali e delle noci di cocco, che tradotto significa che tutti noi siamo parecchio fessi. Atterriti dagli squali nonostante la media di persone divorate dai pescecani non superi la decina all’anno. Affascinati dal riposo sotto le palme senza immaginare l’alto numero di chi finisce al Creatore perché colpito sulla testa da una noce di cocco.
Poi si arriva al punto. Perché siamo così attratti dalle catastrofi? Tozzi parla al plurale, ma sono convinta che mi stia fissando. Ho quasi paura di ascoltare la risposta. Che invece è rassicurante, almeno sotto il punto di vista della salute mentale. «Siamo tutti figli delle catastrofi» spiega. «Tutto quello che è nato sulla Terra è nato da eventi catastrofici». Insomma, mi dico, forse sto solo cercando le mie radici.
Anche se la questione vera è un’altra, e più seria.
«Le catastrofi naturali non esistono» spiega Tozzi. «Esistono gli eventi naturali che trasformiamo in tragedia».
Gli esempi sono tanti: cambiamento climatico e conseguente desertificazione, fine delle risorse, consumo del territorio, costruzioni inadeguate a territori sismici. Tutto dipende dalla responsabilità dell’uomo.
Quello che mi impressiona di più è ciò che sta accadendo ai Campi Flegrei, in Campania. Dove la terra si sta sollevando di 4-5 centimetri all’anno perché spinta dal magma sotterraneo. Dove si sono costruiti una base militare, un ospedale, qualche piccola città e un ippodromo. Dove vivono 700 mila persone. Dove un supervulcano potrebbe eruttare a breve, secondo una ricerca pubblica su Nature Communications. Dove non esiste un piano di evacuazione.
Insomma, se siamo tanto attratti dalle catastrofi è perché le provochiamo noi. E su questo il libro è chiaro, e vale davvero la pena di leggerlo.
Resta un’eccezione (che c’è sempre, anche nei casi disperati): l’asteroide. L’asteroide, dice Tozzi, non è colpa dell’uomo, se arriva arriva. E non possiamo fare nulla per evitarlo.
Amen!
Così, alla fine, per esorcizzare le paure tanto bene illustrate, mi sono iscritta a due appuntamenti che si terranno sabato al Lingotto: la presentazione del libro “La fine del mondo” di Zygmunt Bauman e l’incontro, lo stesso giorno, con sei studiosi che dovranno rispondere all’interrogativo “Siamo soli nell’universo?”.
Questo Salone del libro di Torino piace moltissimo. E piace tanto anche a me.
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